Questa storia potrebbe essere raccontata a Natale, perchè è a lieto fine e perchè sembra proprio una fiaba.
C'era una volta negli USA, a Filadelfia, un uomo chiamato Dr.John, un celebre dentista. Ma durante il giorno, mentre era alle prese con otturazioni e estrazioni di molari, la sua testa era altrove, sognando di prendersi un giorno di ferie e chiudersi nel suo garage, a giocare coi suoi motori Harley-Davidson e imparare come farli andare più veloci, prima di dimostrare la sua abilità su una “drag strip”, su una pista di “dirt track” o in un circuito nel nord est degli Stati Uniti. Poi, un giorno, decise di acquistare una Moto Guzzi Le Mans...
che, oltre ad essere bella esteticamente, aveva un grosso motore bicilindrico a V, simile a quelli che conosceva così bene. Avendo studiato la meccanica prima di laurearsi in medicina, il Dr.John apprezzò la solidità del progetto e lo stile tradizionale della moto. “Acquistai quella moto col solo intento di formare un team di amici per disputare qualche gara di durata”, ha raccontato il Dr.John. “Avevo lavorato e guidato tante Guzzi, e sapevo bene quanto fossero affidabili e adatte alle gare di durata”.
Fu così che si formò il team Guzzi del Dr.John, che al suo primo anno di attività , nel 1984, vinse il campionato statunitense di Endurance per la classe Middleweight, senza neanche un ritiro.
La stagione seguente, il 1985, il Dr.John cedette la sua attività dentistica per dedicarsi a tempo pieno alle corse, riuscendo a vincere tredici gare del campionato americano Endurance, davanti a una flotta di quattro cilindri giapponesi che non solo erano talvolta più lente della sua Guzzi, ma erano assai più assetate di quel grosso bicilindrico aste e bilancieri, un fattore non trascurabile nelle gare sulle lunghe distanze.
Il fatto che la nuova Guzzi del Dr.John guidata da Doug Brauneck finì terza dietro la Quantel Cosworth di Roger Marshall e la Ducati NR di Stefano Caracchi alla sua prima gara a Daytona nel marzo 1988 non fece che aumentare l’entusiasmo per il nuovo progetto. Quel risultato, oltretutto, fu ottenuto con una moto terminata pochi giorni prima l’inizio delle prove, col motore praticamente di serie solo con gli scarichi liberi, una paio di camme realizzate dalla Crane Cams e un paio di carburatori Mikuni a valvola piatta da 41,5 mm.
Successivamente, durante la restante parte della stagione, Wittner e Brauneck continuarono positivamente, ottenendo il 5° posto finale nel campionato, nonostante gli inevitabili problemi di messa a punto di un motore nuovo, che poi era la ragione per la quale lo si era voluto portare subito in pista.
Il motore era di Todero
Umberto Todero, assistente del leggendario Giulio Carcano, disegnò il motore 8V nel 1986, creando una evoluzione della precedente unità col minimo investimento. Con i silenziatori e rispettando i limiti imposti dalle emissioni, il motore erogava 92 CV a 7.400 giri/min con una cilindrata di 992 cm3 (90 x 78 mm) e un rapporto di compressione di 10:1. Fu in questa configurazione che quell’unità entrò in produzione nel 1992. Wittner utilizzò il motore in questa configurazione a Daytona nel 1988, impressionando tutti gli avversari con quel terzo posto finale. Tuttavia, inseguendo quell’aumento di regime che lui riteneva alla portata di un motore “8 valvole”, dopo Daytona Wittner accorciò la corsa, passando a 95.25 x 70 mm per una cilindrata di 999 cm3, le stesse dimensioni caratteristiche del suo “4 valvole” del 1987, derivato dal motore Le Mans. Per replicare questa configurazione, utilizzò l’albero motore del V7 Sport, riequilibrato per l’uso con bielle Carrillo e pistoni Ross in lega leggera ad alto tenore di silicio con 3 segmenti. I cilindri erano stati rialesati e quindi incamiciati con cilindri trattati al Gilnisil. La compressione fu portata a 11.25:1 e all’alimentazione provvedevano due Mikuni a valvola piatta da 41,5 mm. La potenza salì a 115 CV a 9.300 giri/min, ma l’anno successivo furono adottati l’iniezione elettronica regolata da una centralina Magneti Marelli, due corpi farfallati Weber da 52 mm, nuove camme Crane Cams, pistoni Wiseco a cielo piatto, condotti accuratamente flussati e una nuova camera di combustione. Risultato: 128 CV a 9.500 giri/min, che diventavano 121 CV alla ruota, sufficienti per spingere la Guzzi a quasi 270 orari a Daytona. Ma Brauneck nel 1989 fu costretto al ritiro a due giri dalla fine per la rottura di una cinghia della distribuzione quando era quarto. L’affidabilità , con questo livello di prestazioni cominciava ad essere un problema. Questo portò Wittner a ritirarsi dalle corse al termine di quella stagione e a trasferirsi in Italia per lavorare a tempo pieno sullo sviluppo della Daytona 1000 stradale.
(Estratto da un articolo di Alan Cathcart pubblicato su Moto Storiche & d’Epoca)
QUESTA STORIA E STATA TRATTA DALLA BIBBIA..
ReplyDeleteDOVREBBERO INSEGNARLA AI BAMBINI NEL'ORA DI RELIGIONE