Era il 2016 quando scrivevo il “Decalogo per costruire una Special”, dieci punti nati più per istinto che per metodo, scritti tra una birra e una chiave da 13.
Dieci anni dopo: perché continuiamo a farlo
Quando tutto è iniziato, il mondo era impazzito per le Café Racer: le riviste, i social, i bar pieni di gente che parlava di serbatoi inglesi e mezzi manubri.
C’era un tempo in cui bastava una foto ben fatta per sembrare un preparatore.
Oggi quella moda si è spenta, e chi era lì solo per la foto è sparito.
Ma qualcuno è rimasto.
Uno zoccolo duro che non si è mai preoccupato delle etichette: non costruisce per vendere o per piacere, ma perché non sa farne a meno.
Non è nostalgia: è resistenza silenziosa, un modo per restare connessi a qualcosa di vero.
E se dopo dieci anni siamo ancora qui, con meno clamore ma più sostanza, forse significa che il rumore del trapano vale ancora più di qualsiasi applauso virtuale.
🔧 Il Decalogo dopo il Decalogo
(dieci cose che impari solo restando in garage abbastanza a lungo)
1. La moda passa, il rumore resta.
All’inizio sembrava una rivoluzione, poi è diventata un’estetica da catalogo. Ma chi è rimasto non lo fa per la foto, lo fa per il suono del ferro, per l’odore di miscela, per il momento in cui la chiave gira e il motore tossisce vivo.
La moda finisce quando il garage si svuota; la passione resta anche quando fuori piove da giorni.
2. Le mani non mentono.
Puoi parlare quanto vuoi di stile, di linea o di “spirito vintage”, ma una moto fatta bene si capisce al tatto.
Le mani riconoscono la coerenza, sentono se qualcosa è stato fatto con fretta o con rispetto.
Una saldatura racconta tutto: la pazienza, l’errore, la calma, la testardaggine. Le mani sono l’unica firma che conta.
3. Il garage è terapia.
Non è solo un luogo dove si lavora: è dove si rimette in ordine la testa.
Ci vai incazzato, stanco, confuso… e dopo un po’ di rumore, la mente si allinea.
È il silenzio che ti manca, quello pieno di ticchettii e odore di ferro caldo.
C’è chi va a correre per sfogarsi, chi lima un supporto finché combacia. Ognuno ha la sua palestra.
4. Il tempo speso non si misura in ore.
Una giornata per una staffa, tre settimane per un serbatoio, mesi per capire “cosa manca”.
Il tempo del garage non ha senso economico: non è produttivo, è pieno.
Ogni minuto passato lì dentro costruisce più di una moto — costruisce chi la fa.
Alla fine non ricordi quante ore hai impiegato, ma solo quanto ti è piaciuto restarci.
5. La ruggine non è un difetto, è memoria.
Non c’è nulla di più vero di un segno sul metallo.
La ruggine, le ammaccature, le saldature non perfette: sono cicatrici, non errori.
Il mondo vuole moto lucide e perfette, ma noi sappiamo che il fascino sta nel vissuto.
La ruggine è il modo in cui il ferro ti dice: “io c’ero, e ci sono ancora.”
6. I pezzi perfetti non esistono.
Puoi passare settimane a cercare la curva giusta o la vite che combacia, ma arriverà sempre un momento in cui capisci che la perfezione non serve.
Serve coerenza: che ogni parte, anche storta, racconti qualcosa.
Una moto perfetta è sterile; una moto imperfetta ma viva è una storia che si muove.
7. Le moto cambiano, tu pure.
La prima volta che hai tagliato un telaio ti tremavano le mani; ora lo fai con calma, quasi con affetto.
I gusti cambiano, le soluzioni pure.
La special che costruisci oggi non è migliore di quella di dieci anni fa, è solo più tua.
Cresci insieme ai tuoi errori, e ogni moto che finisci porta dentro la persona che sei diventato.
8. Il giudizio degli altri pesa meno del rumore del tuo motore.
C’è stato un tempo in cui serviva piacere agli altri, ora basta piacere a se stessi.
Chi guarda da fuori non sa quante volte hai rifatto quella parte finché non “suonava” giusta.
Le critiche online passano, il suono della tua moto resta nelle orecchie per sempre.
È lì che capisci chi lo fa per passione e chi solo per apparire.
9. Non serve correre: serve tornare.
Non devi finire presto, devi solo voler tornare.
Ogni volta che apri la porta del garage e ti arriva quell’odore di ferro e olio, senti che sei nel posto giusto.
Non importa se il progetto è fermo da mesi: l’importante è che non sia fermo dentro di te.
Finché torni, non hai mollato.
10. Finché c’è una scintilla, non è finita.
Può passare una moda, una generazione, un’epoca.
Possono cambiare le moto, i materiali, le regole.
Ma se ti brucia ancora dentro quella scintilla di costruire, di inventare, di fare meglio — allora non è finita.
Perché in fondo, ogni volta che accendi una moto fatta con le tue mani, stai ricordando al mondo che la passione non si spegne mai del tutto.
Dieci anni fa volevamo far rumore.
Oggi preferiamo il silenzio del garage la sera, quando il metallo si raffredda piano e resta solo l’eco di ciò che abbiamo costruito.
Non c’è più bisogno di spiegare, né di dimostrare.
Chi è rimasto sa di cosa parliamo: di una passione che non cerca palco, ma pace.
Perché alla fine non siamo qui per cambiare il mondo — solo per non smettere di sporcarci le mani.

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Non concordo sui punti 5 e 6 : aborro la ruggine , che per me sulla moto e' come la forfora tra i capelli e la ricerca della perfezione anche in un pezzo insignificante e' quella che poi ti guardano la moto per ore alla ricerca di tutti questi particolari , che poi sono quello enunciato nel punto 3.
ReplyDeleteDipende da coma la vivi la moto , se è un oggetto da osservare e contemplare oppure da vivere fino in fondo senza paura che si graffi, se leggi gli altri post saprai che le moto ferme non mi piacciono come quelle delle collezioni e dei musei . E se arriva quello che viene a criticare solo per io gusto di farlo , sai già che risposta può riceve da me
Deletebel pensiero, sono motociclista da 15 anni e invidio (in maniera bonaria s'intende) chi ha anche un garage, io non ho i soldi per permettermelo, quindi posso solo sognarlo. Un garage, un banco di lavoro dove potersi mettere alla prova e vincere l'insicurezza di dire "potrò farlo da solo con le mie mani"? Ogni uomo dovrebbe averne uno. Io non so usare un flex, non so fare una saldatura, tutte cose che mi piacerebbe fare, imparare, ma non posso farlo se manca il posto dove poterlo fare. Credo di parlare a nome di tanti come me, motociclisti che si limitano a vivere la moto solo come piloti, non come customizzatori, semplicemente perchè pur riconoscendo che "il garage" è parte integrante e fondamentale del motociclismo, non possono permetterselo (parecchi sono anche costretti a lasciare la propria moto all'addiaccio, ma fortunatamente questo - per ora - non è il mio caso). Tuttavia ecco, mi piacerebbe fare un tagliando in autonomia, senza la preoccupazione che se piscio olio per terra o se flexo un pezzo gli altri condomini mi azzannano. Per cui godetevi i vostri garage, voi che avete la fortuna di averne uno, magari sotto casa, o integrato nella casa stessa nel migliore dei casi. Io per adesso continuerò a sognarlo malinconicamente, consapevole di non poter esprimere il mio pieno potenziale per mancanza di mezzi.
ReplyDeleteSognare non costa nulla , io per tanti anni non ho avuto il garage , ma alla fine sono riuscito a realizzarlo ...spero tu un giorno ci riesca
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