Tra le moto che hanno attratto di più e acceso l'interesse per un mezzo racing c'è sicuramente la Aprilia RS Cube . Un mezzo che per la sua tecnica all'avanguardia e il suo motore tre cilindri ha fatto sognare e sperare che potesse battere lo strapotere giapponese, con quell'inventiva e l'estro di cui solo noi italiani siamo capaci.
C’è stata un’epoca in cui Motomondiale significava anche sperimentazione, tecnici e progettisti che pensavano completamente fuori dagli schemi realizzando prototipi pluricilindrici di ogni sorta. Quest’epoca, iniziata negli anni 50, si esaurì nella seconda metà degli anni 70, quando l’arrivo delle 2 tempi in 500 sancì il dominio dello schema a 4 cilindri. Ci furono però, nel corso degli anni, altri due momenti dove la fantasia di alcuni uomini riportò la mente a quegli anni di sperimentazione continua. Nei primi anni ’80 la Honda provò a battagliare ad armi pari contro le 2 tempi utilizzando un motore 4 tempi, rifugiandosi nella chimera della NR a pistoni ovali. Poi primi anni 2000, quando il nuovo regolamento MotoGP lasciava grandissima libertà ai progettisti ed incentivava soluzioni esotiche con un particolare rapporto tra peso e frazionamento: sono gli anni della vittoriosa Honda RC211-V e della nostra Aprilia RS³, o Cube.
Era un freddo inverno a cavallo tra il nuovo e vecchio millennio, la classe 500 aveva una data di morte già assegnata. Tre uomini (il 3 tornerà spesso in questa lettura), due italiani ed un olandese, decisero di realizzare un prototipo audace per la nuova top class: qualcosa di esotico per l’epoca, ma soprattutto che fosse la moto più potente della nuova classe MotoGP 990, un concentrato di potenza al cubo.
Questi erano Ivano Beggio, storico presidente di Aprilia e icona di quei veloci anni 90 dell’industria motociclistica italiana, Jan Witteveen, progettista dei migliori motori a 2 tempi più vittoriosi e capo del reparto corse Aprilia Racing fonte inesauribile di aneddoti, e Luigi Dall’Igna detto Gigi come project-leader(sì proprio lui) oggi uno di più rinomati ingegneri a livello mondiale, autore di quel capolavoro plurivittorioso chiamato Aprilia RSV4, e da alcuni anni è passato ad un’altra Casa motociclistica italiana molto amata, la Ducati, che sta cercando di riportare alla vittoria. .
Decisero anche di non competere nell’ultima stagione di 500, per concentrare gli sforzi sul nuovo progetto.
Singolare era pure la scelta del frazionamento, sul quale Jan Witteveen ci diceva che “abbiamo analizzato le soluzioni 2 cilindri a V, 3 in linea e 4 a V. Per primo abbiamo scartato il V4, perché pensavamo che la maggior parte dei giapponesi avrebbe scelto questa soluzione e la nostra storia nelle cilindrate inferiori ci ha insegnato che per batterli è necessario seguire strade diverse dalla loro. Ma soprattutto il V4, a fronte di prestazioni praticamente equivalenti ad un 3 cilindri, avrebbe avuto da regolamento uno svantaggio di peso di 10 kg. Tra il 2 e il 3 cilindri, abbiamo alla fine scelto quest’ultimo per tre motivi. Il primo è quello che si diceva prima: percorrere strade diverse dai giapponesi. Sapevamo che non avrebbero mai fatto tricilindrici, anche per un fatto di immagine: si tratta di un motore di tradizione assolutamente europea, anche sportiva. Secondo, si trattava di un motore di facile industrializzazione con costi relativamente ridotti, paragonabili a quelli di un V2. Infine, si tratta come sapete del motore con cilindrata unitaria più simile a quella di un motore di Formula 1, e il possibile travaso di tecnologia, per quanto a pagamento, ci avrebbe reso più breve la fase di sperimentazione, come in effetti è avvenuto. Poi non va dimenticato che il percorso dei condotti di alimentazione e scarico è più favorevole rispetto ad un motore a V”.
Per realizzare il motore l’Aprilia decise di imbastire una collaborazione niente popò di meno che con Cosworth: il frazionamento infatti comportava una cilindrata unitaria di 330 cc, molto vicina ai 350 cc delle Formula 1 V10 dell’epoca.
Il risultato di questo connubio italo-anglo-olandese fu un motore 3 cilindri magnifico, con una potenza incredibile e quasi diabolica per l’epoca: 240 cavalli, che arrivarono a superare i 260 nelle ultime versioni in una escalation che pareva non avere fine. Una spanna, se non due, sopra a tutti, una potenza che solo nella seconda stagione delle nuove MotoGP 1000 (2013) si è riusciti a raggiungere e superare, tra l’altro solo da Honda e Ducati.
La linea è estremamente aerodinamica e protesa all’anteriore, conferendo dinamismo e sensazione di velocità. Ma è il motore, ovviamente di 990 cc come da regolamento, a stupire tutti non solo per la forma ma anche per i contenuti. Oltre a frazionamento a 3 cilindri, aveva 3 caratteristiche innovative e all’avanguardia per l’epoca: le valvole pneumatiche, che solo dal 2008 prenderanno definitivamente il posto di quelle classiche a molla in tutte le MotoGP; il comando del gas elettronico (ride-by-wire); la frizione in carbonio. Le dimensioni dell’insieme erano molto compatte, molto simili alle vecchie 500, ma soprattutto poteva sfoggiare una leggerezza invidiabile: 135 kg a secco, contro i 148 kg delle 4 e 5 cilindri.
Ma fu proprio questa potenza a mettere in crisi tutto. Le gomme dell’epoca non erano in grado a gestire una tale potenza, non vi erano ancora Anti-Wheelie e Traction Control così evoluti. L’unico mezzo per provare ad addomesticare questi cavalli pazzi e furiosi era imbrigliarli nella miglior ciclistica possibile. Ma purtroppo per quanto Aprilia, maestra di telai motociclistici, tentò, non riuscì nell’impresa. Neppure quando venne anche interrotto il progetto RSV 1000 Superbike per convogliare tutte le risorse del Reparto Corse sul progetto MotoGP.
La fece esordire Laconi nel 2002, nella stagione 2003 provarono a domarla Haga e Edwards (fresco bi-campione del mondo SBK) e nel 2004 fu il turno di Fabrizio, Byrne, McWilliams e McCoy, maestro della derapata. Ma nonostante sia stata nelle mani di molti piloti così diversi come stile di guida, nessuno riuscì ad addomesticarla.
Purtroppo senza grandi risultati, e questo è anche, o soprattutto, il motivo per cui la permanenza della Casa veneta in MotoGP, in quell’occasione è stata così breve: troppi soldi spesi in rapporto ai frutti raccolti, decretetarono la morte di quel progetto e l'abbandono delle competizioni.
From Fuoritraiettoria , Motociclismo
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