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Desert Aid

 

Nicola e Alessio quando aprivano RocketGarage, lo confessano, lo facevano non solo per guardare moto belle e particolari o sognare attraverso storie di vecchi riders,  ma anche per la meravigliosa playlist che partiva in automatico con gli AC/DC in apertura e che – raccontano – lasciavano aperta mentre navigavano su internet. In quel tempo però i nostri maici fra le passioni avevano i cerchi in alluminio da 17 pollici. Fango, lunghe traversate, moto lente e con i cerchi a raggi gli interessavano poco. Questa avventura è l’epilogo di una storia iniziata da lontano e di come un blog, delle foto, delle frasi possano inevitabilmente cambiare la vita motociclistica di una persona che, seppur affascinata da un certo tipo di uso, mai avrebbe pensato di venire totalmente avulso, fino ad abbandonare saponette, cronometro e cordoli.





Pian piano quelle pagine virtuali che lasciavano trasparire odore di benzina e migliaia di chilometri sulle spalle ha fatto ripensare a cosa realmente volessero da una moto. Forse non era nelle piste la libertà che stavano cercando. E dunque eccoci qui, in pieno black desert, in una notte stellata e con la centralina della scrambler di Nicola che non vuole più far scoccare la scintilla. Un traino di diversi chilometri nel buio più nero - perché nel frangente la moto di Alessio ha fulminato le lampadine -  dove ci si sente piccoli e ci si chiede chi te lo abbia fatto fare di costruire le moto in garage, una su base dominator e l’altra su base xt, caricarle così tanto di farmaci da portare a un’associazione che si occupa di diabete nel cuore del Marocco che vi era spazio solo per due magliette e due mutande di ricambio, stare a migliaia di chilometri da casa, lontano da chi ti ama…




Eppure tornati in Sardegna la voglia di ripartire non era diminuita, di sporcarsi le mani di grasso, di migliorare le moto grazie ai preziosi consigli che solo un viaggio ti può regalare.
Alessio, controllore di volo, e Nicola, consulente economico, hanno iniziato questo viaggio un po’ per gioco, al ritorno dall’isola di Man si sono detti: “l’anno prossimo ci costruiamo le moto e andiamo in Africa?” E’ seguito un “sì” di quelli detti tanto per dire, ma che alla fine li ha trasportati veramente su un traghetto, ad attraversare il mediterraneo. E sempre per gioco si sono detti: “perché non raccogliamo dei soldi fra amici e vediamo se possiamo trovare un’associazione da aiutare? Così uniamo la nostra passione per le moto al nostro concetto di stare al mondo”. E così è successo.



I metodi di raccolta dei soldi sono stati i più vintage possibile, ovvero la classica bustina bianca. Non tanto perché il retrò sia di moda, quanto perché questa modalità ha permesso di guardarsi negli occhi, consapevoli della responsabilità che si aveva nei confronti di chi nutriva una fiducia incondizionata. 



 E così prima si sono fermati a Er-Rich a lasciare scatole e scatole di farmaci, per poi proseguire più a sud a compare, coi soldi raccolti, delle biciclette per permettere a 12 bambini nomadi di raggiungere la scuola, distante dalle loro abitazioni diversi chilometri. Dodici ne servivano e dopo la solita, estenuante, contrattazione dodici erano quelle comprate. 



Un viaggio stancante, non senza intoppi, fatica e ore e ore passate sopra la sella, che ha trovato il suo apice quando le bici son state caricate su un furgone, seguito fra piste battute le sassi, fino al deserto nella zona di Alnif, e consegnate ai bambini: è nella gioia dei loro sguardi che forse stava la libertà che cercavano e che solo una moto ha saputo regalargli. 







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