«La storia appartiene ai vincitori e negli annali del rock & roll, tre uomini sono emersi come vincitori: Chuck Berry, Little Richard e Bo Diddley, una santissima trinità che era presente quando tutto è iniziato», scriveva qualche anno fa la bibbia del poprock Rolling Stone. Nonostante non abbia avuto i successi milionari degli altri due colleghi, la sua influenza sul rock è stata decisiva. Non solo per la sua chitarra quadrata, un simbolo unico. E nemmeno perché è stato uno dei primi neri ad avere un impatto sul pubblico bianco.
Diddley, vero nome Ellas Otha Bates, era nato a Mc Comb, nel Mississippi il 30 dicembre 1928. Mamma era una ragazza madre che lo aveva affidato alla cugina. La famiglia si era trasferita a Chicago, dove, dopo aver studiato violino ed essersi innamorato della chitarra ascoltando John Lee Hooker, Bo Diddley iniziò a esibirsi come musicista di strada. Quindi i localini e le prime band e un contratto discografico. Nel 1955, il primo singolo «Bo Diddley/ I'm a Man» porta i germi di un nuovo ritmo, ribattezzato il «Diddley Beat», nel rock and roll.
Bo Diddley è tra i pochi artisti al mondo che possano vantarsi di aver “inventato” un suono. Nel suo caso, un beat che univa ritmi africani e rock& roll;, e che prenderà appunto il nome di “Bo Diddley beat”, venendo poi imitato da centinaia di autori nel corso dei decenni: da Buddy Holly agli Smiths di How Soon is Now? a quasi tutto il repertorio di The Jesus and Mary Chain.
A «copiarlo» saranno poi decine di artisti. Buddy Holly lo riprese in «Not Fade Away», la cui cover fu il primo brano nella top ten inglese per i Rolling Stones. Jagger e soci lo hanno più volte ricordato come uno dei loro ispiratori; Keith Richards e Ron Wood hanno addirittura suonato in un suo album nel 1996. Anche «Magic Bus» degli Who, «She's the One» di Springsteen, «Desire» degli U2 e «Faith » di George Michael hanno «rubato» quel ritmo. «The Originator», come aveva intitolato un album del 1966 per rimarcare il suo ruolo di iniziatore («Sono stanco delle bugie. Elvis ha copiato me, ma io non sono ricordato. È una questione di bianchi e neri», polemizzava), ha scritto altre hit come «Pretty Thing», «Mona», «Who Do You Love?» e «You Can't Judge a Book by Its Cover», ma a partire dai primi anni Sessanta sparì dalle classifiche pur rimanendo impegnato con i concerti dal vivo.
L'importanza di Diddley, nominato anche nella Hall o Fame del rock nel 1987, va oltre il «suo» prezioso ritmo. È stato uno dei primi a farsi affiancare sul palco da musicisti donne. È stato anche un geniale inventore: il vibrato della sua chitarra arrivava da modifiche che lui stesso faceva agli strumenti, le maracas suonate dal suo compagno Jerome Green che caratterizzarono il suono degli esordi erano costruite con galleggianti degli sciacquoni riempiti di legumi secchi. E ben prima di Hendrix infuocava il pubblico suonando la chitarra con i denti.
La nascita del soprannome è un mistero. Fra leggende, che lo stesso musicista non ha mai smentito o confermato, ci sono quelle che sia legato al suo passato da pugile, al nome di uno strumento africano, dalla storpiature slang di «bully» (bullo). E che lo sia stato un po', un bullo, non lo si può negare: quel primo famoso singolo da un lato ripeteva all'infinito il suo nome d'arte, dall'altro smargiassava sulle proprie capacità sessuali. Anche il rap gli deve molto.
da http://www.corriere.it
"wHO DO YOU LOVE", è lo stesso pezzo suonato da George Thorogood?
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